I principi fondamentali che regolano i rapporti etico- sociali, con particolare riguardo a quelli relativi all'istituzione familiare e ai compiti dei

di Ferdinando Imposimato, Magistrato

Premessa. Lo Stato e la Famiglia secondo Aristotele e Socrate
La nostra costituzione si ispira alla concezione aristotelica della famiglia. Essa era intesa, nell'antica Grecia, come perno dello Stato democratico, e per questo meritevole di un preciso riconoscimento e di una tutela nella Costituzione di Atene. Per Aristotele , solo esaminando di quali elementi fondamentali risulta composto lo Stato, si ha una visione chiara dello Stato.

Il grande filosofo, che Dante definisce come “il maestro di color che sanno”, afferma:“ La comunità che si costituisce per la vita quotidiana secondo natura è la famiglia, e la prima comunità che risulta dalla sintesi tra più famiglie è il villaggio”. “La comunità che risulta dall'insieme di più villaggi è lo Stato, perfetto, che raggiunge il limite dell'autosufficienza completa ". “ Lo Stato -osserva Aristotele- esiste per rendere possibile agli uomini una vita felice”. E a questa concezione della Stato, portatore di felicità, si è ispirata la Costituzione americana secondo cui lo scopo principale cui mira lo Stato americano è la felicità dei cittadini.

Anche la Costituzione italiana ha assunto la famiglia come società naturale, cardine della società e meritevole di tutela e di agevolazione sul piano economico. E dunque, sia la Costituzione Italiana che quella americana hanno introdotto i principi costituzionali affermati, 450 anni a c n, da Aristotele nel suo trattato sulla politica ( Politica Aristotele. Laterza Bari ). Il filosofo ateniese sostenne che lo Stato stesso, prima ancora della famiglia, è “una società naturale”. E cioè che esso nasce fin da quando esiste l'uomo.

L'essere umano per natura è un essere sociale: chi vive fuori della comunità statale o è un abietto o è superiore all'uomo, rileva Aristotele. “Poiché la natura non fa niente senza scopo e l'uomo, solo tra gli animali, ha la parola, fatta per esprimere ciò che è giovevole e ciò che è nocivo, e di conseguenza il giusto e l'ingiusto, e tutti gli altri valori, il possesso comune di questi valori costituisce la famiglia e lo Stato” ( Politica di Aristotele p 6 e 7 Laterza Bari ) Aristotele spiega che lo Stato è anteriore alla famiglia, poichè lo Stato è“ il tutto, deve essere necessariamente anteriore alla parte, cioè all'uomo".

Nessuno può pensare che un braccio esiste senza il corpo. Per natura in tutti gli uomini esiste la spinta verso la partecipazione alla vita dello Stato passando attraverso la famiglia. E “chi costituì per primo lo Stato fu causa di grandissimi beni”. “La giustizia è elemento essenziale dello Stato; il diritto è il principio ordinatore dello stato, e la giustizia è determinazione di ciò che è giusto" ( p. 7 Politica Aristotele Laterza Bari ).

Studiando la famiglia nei suoi elementi più semplici, Aristotele rileva che essi sono “marito e moglie, padri e figli, padroni e schiavi”. E che l'essenza della famiglia è il “rapporto matrimoniale tra uomo e donna e la procreazione dei figli”. Aristotele respinge l'idea socratica di uno Stato in cui possa esistere una sola grande famiglia, nella quale vi sia comunanza di donne, figli e beni. Aristotele riconosce che uno Stato debba avere necessariamente delle cose in comune, come il territorio, o il mare o i fiumi, ma questa comunione non si può estendere alle donne ed ai figli e alla proprietà.

Socrate sosteneva che “lo Stato ideale che aspira alla massima unità come suo bene supremo è quello in cui si realizza “ la comunanza di donne, figli e averi”, come afferma Platone nella Repubblica. Lo Stato perfetto, secondo Socrate, è quello in cui esiste una unica grande famiglia: ma Aristotele replica che “se lo Stato, nel suo processo di unificazione é sempre più uno (nel senso di unito), cioè riesce a realizzare una sola grande famiglia, non sarà neppure uno Stato, perchè lo Stato -e qui è un'altra geniale intuizione di Aristotele- è per sua natura pluralità, mentre diventando sempre più una sola entità, si ridurrà a famiglia da Stato e a uomo da famiglia: in realtà dobbiamo ammettere -conclude Aristotele- che la famiglia è più di una nello Stato: di conseguenza chi fosse in grado di realizzare tale unità di tutti gli uomini e delle donne e dei beni, non dovrebbe farlo perchè distruggerebbe lo Stato" (Aristotele politica Laterza p. 32). Infatti una unica grande famiglia con la comunanza di donne, di figli e di proprietà -una sorta di comunismo integrale - porterebbe non alla concordia, presupposto per la felicità di tutti i cittadini, ma alla discordia.

Infatti “di quel che appartiene a molti non si preoccupa più nessuno, perchè gli uomini badano soprattutto a quel che è di proprietà di ciascuno di loro, di meno a quel che è possesso comune, o tutt'al più nei limiti del loro personale interesse. E dunque occorre che nello Stato esistano una miriade di famiglie, ciascuna fornita della propria autonomia ed individualità.

La famiglia secondo Voltaire
Quanto alla famiglia, il filosofo Voltaire, il padre dell'illuminismo francese, come Aristotele non riconobbe altra famiglia che quella formata da uomo, donna e figli. Voltaire, pure essendo il filosofo della tolleranza e critico feroce di ogni forma di intolleranza, e per questo nemico della intolleranza, della superstizione, del fanatismo e della religione cristiana, responsabili di crimini orrendi commessi con la copertura del Tribunale della Inquisizione -memorabile è la storia della condanna a morte di jean Calais per puro fanatismo religioso- mostrò a sua volta una intolleranza assoluta verso la famiglia omosessuale ed in particolare verso la pederastia, che condannò ferocemente, chiedendosi, a proposito dell'amore cd socratico, cioè tra uomini o tra donne e soprattutto tra adulti e bambini, “come è possibile che un vizio, distruttore del genere umano se fosse universale, che un attentato infame contro la natura sia tuttavia così naturale? Esso appare come l'estremo grado della corruzione consapevole.

E' entrato in cuori novizi che non hanno conosciuto né l'ambizione né la frode né la sete di ricchezza: è la gioventù cieca che, per un istinto confuso, precipita in questo disordine uscendo dalla infanzia” Egli proseguì dicendo: “Non posso sopportare che si sostenga che i greci abbiano autorizzato questa licenza. Si cita il legislatore Solone perchè in due versi disse:"amerai un bel ragazzo finchè il suo mento non abbia barba”. Ma diciamo la verità, Solone era legislatore quando compose questi due versi ridicoli?” (Voltaire, dizionario filosofico edizione Newton Compton Roma p. 12-14).

I rapporti etico sociali con particolare riguardo alla famiglia secondo la Costituzione
I rapporti etico sociali sono disciplinati dagli articoli 29- 34 della Costituzione e riguardano i diritti della famiglia, intesa come società naturale fondata sul matrimonio, i rapporti dei genitori con i figli, la tutela della salute come diritto dell'individuo ed interesse della collettività, il diritto alla istruzione e la prevalenza della scuola pubblica (art. 33 Cost.), prevedendo che i privati possano istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo Stato, e il sostegno economico per i meritevoli (art. 34 3 comma Cost.).

La costituzione repubblicana dedica particolare attenzione all'istituto della famiglia ed ai compiti dei genitori verso i figli. L'art. 29 della Costituzione afferma che la “Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Aggiunge che “il matrimonio è ordinato sulla uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia della unità familiare”. Tale norma va interpretata, da un lato, come presa d'atto del valore originario e pregiuridico della Famiglia e del suo assetto fondamentale di istituzione che soddisfa bisogni fondamentali dell'individuo: come il completamento della sua personalità con la scelta di un “compagno” con cui affrontare le difficoltà della esistenza; la procreazione e l'educazione della prole. Dall'altro come impegno a rispettare l'autonomia delle singole famiglie, salva la necessità di intervenire a difesa dei figli “nei casi di incapacità dei genitori” (art. 30 comma 2 Cost.).

Naturalmente non vi è un modello universale ed immutabile di famiglia, ma vari tipi storicamente condizionati. Difatti nella società di un tempo, prevalentemente agricola, la famiglia tendeva ad organizzarsi come unità produttiva, sia verso l'esterno, per il mercato, sia rivolta all'interno della comunità familiare stessa. La famiglia aveva scarsa mobilità, accentramento gerarchico, con i poteri del paterfamilias sulla moglie e sui figli, rigida distribuzione dei ruoli. Solo a partire dalla metà degli anni settanta, con il processo di industrializzazione, si è verificata la disgregazione della famiglia antica, sia sul piano della composizione numerica, con il passaggio alla cd famiglia nucleare, composta dai soli genitori e figli, sia sul piano della contrazione dei poteri del capofamiglia, sia sul piano della riduzione della funzioni svolte all'interno della famiglia, come l'assistenza e la istruzione oggi affidate totalmente ad istituzioni pubbliche.

Esemplare è la evoluzione della posizione sociale e giuridica della donna, da soggetto incapace di agire senza autorizzazione del marito, “ tenuta ad accompagnare il marito dovunque egli crede opportuno di fissare la sua residenza (come stabiliva l'art. 144 cc nel testo originario) e a prestargli obbedienza in cambio del diritto al mantenimento, a soggetto con “pari dignità sociale” (art. 3 Cost.), rispetto al marito, dovendo il matrimonio essere ordinato sulla uguaglianza morale e giuridica dei coniugi” (art. 29 Cost.).

L'adeguamento al precetto costituzionale, però, richiese una profonda modifica del codice civile, poiché il testo originario manteneva la moglie in una posizione di subordinazione, attribuendo al marito la qualifica di “capo della famiglia” investito di una “potestà maritale" sulla moglie (art. 144 cc del vecchio testo). Ma la Corte Costituzionale era intervenuta ripetutamente a dichiarare la illegittimità di norme del codice civile e penale in contrasto con il principio di parità tra i coniugi.

Nel 1970 si registrava l'introduzione del divorzio, per cui il matrimonio non era più indissolubile. Cinque anni dopo, con legge 19 maggio 1975 n. 151, veniva varata una riforma profonda che disponeva l'innalzamento della età per contrarre matrimonio, profonde modifiche sulle cause di invalidità delle nozze (con la previsione dell'errore della violenza e del dolo), l'integrale parificazione dei coniugi nel governo della famiglia e nella potestà sui figli, l'abolizione della separazione personale dei coniugi “per colpa”, la comunione dei beni, la attribuzione della azione di disconoscimento della paternità pure alla madre ed al figlio; la riconoscibilità dei figli naturali procreati in costanza di matrimonio; l'ammissibilità di una illimitata ricerca giudiziale della paternità naturale; la sostanziale equiparazione dei figli naturali e dei figli legittimi; il miglioramento dei diritti successori del coniuge superstite e dei figli naturali.

La famiglia legittima è quella fondata sul matrimonio. La famiglia di fatto è quella costituita da persone che, pur non essendo legate tra loro dal matrimonio, convivono more uxorio, insieme agli eventuali figli nati dalla loro unione.
In realtà la nostra costituzione tutela anche i “diversi” -omosessuali, bisessuali, transessuali- all'art. 3 della Costituzione, quando dice che “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e hanno pari dignità sociale, senza distinzione di sesso... e di condizioni personali e sociali”, in cui la locuzione “condizioni personali” vuole dire anche “omosessuali”. Ma non tutela le famiglie tra omosessuali, che pure esistono ma non ricevono alcuna tutela giuridica, a differenza della famiglia di fatto.

Il solenne riconoscimento dei diritti della famiglia, contenuto nell'art. 29 della Costituzione, si rivolge solo alla famiglia fondata sul matrimonio. Peraltro anche la famiglia di fatto ha acquistato profili di rilevanza giuridica, che trova tutela nell'art. 2 della Costituzione, che fa riferimento alle formazioni sociali nelle quale l'individuo esplica la proprio personalità. Per esempio alla convivente more uxorio si riconosce il diritto al risarcimento del danno, in caso di uccisione del convivente; il diritto di subentrare nel contratto di locazione intestato all'altro convivente (art. 6 L n. 392/1978).

Il riconoscimento della famiglia come cardine della società e dello Stato venne completato dalla previsione all'art. 31 della Costituzione, dell'obbligo della Repubblica, di agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi con particolare riguardo alle famiglie numerose. Norma che è sostanzialmente inapplicata. Moro fece un intervento all'assemblea costituente del 6 novembre 1946 con cui non solo sollecitava l'introduzione di un dovere dello stato di sostenere oneri finanziari in favore delle famiglie, ma si opponeva a coloro che volevano inserire la garanzia costituzionale della famiglia nel preambolo senza impegnare lo Stato con un programma preciso. Infatti era necessario per Aldo Moro che “lo Stato assumesse il compito di permettere questo libero atto, tante volte ostacolato da condizioni economiche. Così come riteneva necessario fare riferimento alle famiglie numerose, specialmente se si tiene presente che i commissari democristiani hanno sostenuto la necessità di salari familiari”.

Moro difese anche il principio che, in caso di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. Alla obiezione della Presidente che la norma fosse simile a quella fascista secondo cui lo Stato interferiva nella educazione della prole, obiettò che si tratta invece di tutelare i figli, “nei casi limite in cui è necessario fare riferimento ad un eventuale intervento dello Stato per ragioni economiche e morali, come ad esempio nel caso di famiglie che abbandonano la prole in mezzo alla strada” (atti della costituente 7 novembre 1946).

Rapporti tra genitori e figli
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli, tenendo conto delle capacità naturali, delle inclinazioni e delle aspirazioni dei figli. Tale dovere, che riguarda non solo i figli legittimi ma anche i figli naturali cioè nati fuori del matrimonio, è sancito dall'art. 30 della Costituzione che afferma testualmente “E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio”. Il principio in questione è affermato anche dall'art. 147 cc. Da notare che secondo la dottrina e la giurisprudenza della SC, tale dovere non cessa automaticamente allorchè i figli raggiungono la maggiore età ma perdura fino a quando non abbiano raggiunto una propria autonomia ed indipendenza economica. E sempre che lo stato di bisogno non dipenda da una scelta del figlio di non lavorare.

Viene meno l'obbligo del mantenimento quando il mancato svolgimento dell'attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero da un rifiuto ingiustificato del lavoro, “il cui accertamento deve però essere ancorato alle aspirazioni, al percorso universitario e post universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro” (Cass. 6 novembre 2006 n. 23673).

A loro volta i figli devono rispettare i genitori e devono anche essi contribuire al mantenimento della famiglia, fin quando vi convivono, “in proporzione alle proprie sostanze ed al proprio reddito” (art. 315 cc).
Il figlio è soggetto alla “potestà dei genitori” (art. 316 cc) fino al raggiungimento della maggiore età o al matrimonio, qualora si sposi prima di diventare maggiorenne (art. 390 cc). La potestà deve essere esercitata dai genitori di comune accordo: in caso di contrasti, purchè si tratti di questioni di particolare importanza (ad es. tipo di studi da fare seguire dai figli), ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice, il quale, sentiti i genitori ed anche il figlio se ha raggiunto i quattordici anni, suggerisce le determinazioni più utili nell'interesse del figlio e della unità familiare. Se il contrasto rimane, il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l'interesse del figlio (art. 316 cc ).

In caso di separazione personale, annullamento del matrimonio e o di divorzio, l'esercizio della potestà è regolato secondo quanto dispongono gli art. 155 e seguenti cc. La nuova legge, approvata nel 2006, è in linea con la convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, firmata a NY il 20 novembre 1989, ratificata in Italia nel 1994, che esige che i figli mantengano regolari rapporti con entrambi i genitori, pone come regola fondamentale l'affidamento condiviso. Infatti la legge afferma che anche in caso di separazione, i figli hanno diritto di conservare un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere da entrambi cura, educazione ed istruzione, e di conservare i rapporti con i nonni e i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Il giudice deve avere di mira, nell'emanare i provvedimenti relativi alla prole, esclusivamente l'interesse materiale e morale della prole stessa. Il giudice può affidare il minore ad uno dei due coniugi solo quando ritenga che il rapporto con l'altro genitore sia contrario all'interesse del minore.

I rapporti relativi ai figli sono sempre modificabili.